paradòsso1 agg. e s. m.
Paradosso – Vocabolario Treccani
Affermazione, proposizione, tesi, opinione che, per il suo contenuto o per la forma in cui è espressa, appare contraria all’opinione comune o alla verosimiglianza e riesce perciò sorprendente o incredibile, oppure determina situazioni di incertezza o di indecidibilità.
Il Coronavirus, o Covid-19, ci ha cambiato la vita forse per sempre, innescando in noi dei comportamenti che saranno probabilmente irreversibili. Ammettilo, anche tu provi un po’ di fastidio quando vedi un film, una trasmissione TV “Registrata prima del DPCM“, una partita di calcio e vedi gente vicina che si tocca e si abbraccia. Immagina di andare a un concerto, in mezzo alla gente che salta e che canta scambiandosi droplet di saliva senza mascherina e senza rispettare il social distancing. A pensarci ora è impossibile non provare un senso di disagio, che magari si allevierà con il tempo fino a scomparire o magari no.
Smart Working? Davvero?
Ormai sono 2 mesi che viviamo in una situazione surreale. La maggior parte di noi vive chiuso in casa, adattandosi a una nuova routine:
- sveglia
- caffè
- felpa e tuta
- PC acceso
- saluto ai colleghi su Slack
- lavoro
- pausa caffè
- lavoro (zoom call, hangouts)
- pranzo
- lavoro
- saluto ai colleghi su Slack
- impasto per la pizza
- pizza in forno
- buona la pizza!
- Netflix
- buonanotte!
E ricominciare poi tutto daccapo il giorno dopo. Lo chiamiamo Smart Working perché è affascinante e moderno usare un anglicismo. E poi diciamocelo: la versione autarchica Telelavoro è oggettivamente brutta.
Di Smart Working nel mondo si parla da qualche anno e in Italia abbiamo addirittura una normativa apposita, la Legge 22 maggio 2017, n. 81, dal titolo esplicativo “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato“, che regolamenta il lavoro remoto dopo anni di vuoti legislativi.
Sono 3 anni che abbiamo una legge apposita e le stime parlano di 570.000 lavoratori agili nel 2019 (fonte: Osservatorio Smart Working), praticamente l’equivalente della città di Genova. Eppure qualcosa ha frenato lo sviluppo e la diffusione del lavoro agile e smart; di questo nuovo paradigma che prevede da un lato una nuova fruizione degli spazi e degli spostamenti strizzando un occhio all’ambiente; e dall’altro ribalta il concetto di salario erogato in cambio del tempo del lavoratore.
È su quest’ultimo concetto che il sistema produttivo e imprenditoriale ha imbrigliato lo smart working impedendogli di sbocciare davvero. Fin dalla rivoluzione industriale abbiamo avuto un modo molto ben definito per misurare la produttività: il tempo trascorso in un dato spazio. Un modello che per oltre un secolo ha funzionato bene ma che ha stentato a mutare in qualcosa di più aderente al nostro tempo, caratterizzato da una forte presenza di sempre più lavori cognitivi.
Fin dalla rivoluzione industriale abbiamo avuto un solo modo per misurare la produttività: il tempo trascorso in un dato spazio. Condividi il TweetUna scelta obbligata
Il lockdown ha posto le organizzazioni di fronte a un dilemma: fermare ogni attività, o concedere il lavoro agile ai propri dipendenti. Poiché la scelta è sempre molto facile quando una delle due strade va a finire contro un muro, milioni di lavoratori italiani sono stati catapultati in una nuova dimensione fatta di uffici casalinghi, giornate in tuta e virtual meeting su Zoom.
A questo punto è successo un vero e proprio miracolo: anche i più scettici si sono dovuti ricredere sulla effettiva sostenibilità del lavoro remoto. Pur in una situazione di scelta obbligata, tutti si sono resi conto che “Yes, we can“!
Smartworking = produttività? Yes, we can! Condividi il TweetCi siamo accorti che si può essere efficienti anche senza essere fisicamente in ufficio e che i tool tecnologici ci consentono davvero di annullare le distanze con relativa efficacia senza compromettere la produttività. Anzi spesso si è arrivati al rischio opposto. Non sono rari i casi di lavoratori – soprattutto quelli meno abituati al lavoro agile – che hanno difficoltà a staccare dal lavoro e che si trovano nella ancora più paradossale situazione di iper-produttività. Non a caso i blog e i giornali sono pieni di consigli su come gestire correttamente il tempo ed evitare situazioni di ulteriore stress, in un’ambiente già saturo di preoccupazioni.
Molti imprenditori e datori di lavoro hanno imparato che dal momento che non possono più avere il controllo stringente che avevano quando si poteva stare tutti nello stesso spazio, non importa realmente quante ore lavori. Cosa importa davvero è che il lavoro sia fatto bene.
Finalmente si è capito che se il dipendente non lavora come dovrebbe è un problema che prescinde dal mancato controllo. Può essere che il dipendente non sia motivato, che il suo stipendio non sia soddisfacente, che sia poco serio di suo, che non venga coinvolto o stimolato dalla struttura aziendale, ecc. Ma non dipende dal controllo!
Se un dipendente non lavora come dovrebbe non dipende dal fatto che lavori incontrollato. Magari è poco serio di suo! Condividi il TweetLa cultura della fiducia
Lasciandoci alle spalle un lavoro che enfatizza esclusivamente il tempo a vantaggio di uno che valorizzi il risultato finale è necessario mettere in piedi scenari che favoriscano questa transizione.
È da sciocchi immaginare che basti implementare nuovi strumenti tecnologici per poter parlare di trasformazione digitale nelle aziende italiane. Il tool è soltanto un mezzo che in assenza di un terreno fertile a cambiamenti strutturali diventa inutile.
Il mutamento epocale nel rapporto di lavoro porta necessariamente a una ridefinizione di una cultura aziendale che sia basata sempre più sulla fiducia. Una fiducia che sia bidirezionale nel rapporto imprenditore-dipendente. Un cambiamento culturale che preveda coinvolgimenti sempre più incisivi tra le componenti aziendali, dove il dipendente possa uscire dalla logica del “dipendente” per entrare nello schema più valevole secondo cui il successo dell’azienda diventa anche gratificazione individuale.
Un esempio pratico
L’azienda dove lavoro attua da anni politiche di smart working (quello vero) a livello globale. Ho alcuni collaboratori che hanno in essere accordi ben precisi sul lavoro agile, mentre tutti gli altri possono comunque gestirsi il tempo in maniera abbastanza trasparente quando lo chiedono.
La presenza di queste politiche, l’utilizzo degli strumenti giusti e una cultura aziendale che favorisce il dilagare di queste pratiche a tutti i livelli ha creato negli anni un ambiente dove la fiducia è parte integrante del rapporto.
Il risultato è evidente e posso apprezzarlo ogni giorno soprattutto nei collaboratori più giovani che si gestiscono il proprio lavoro con responsabilità, facilitandomi anche parecchio il lavoro. A dimostrazione che il senso di responsabilità e l’engagement dei lavoratori non è correlato all’anzianità o all’esperienza. Una parte è sicuramente innata – e qui sta alla bravura di chi assume intercettare questo potenziale – ma l’altra si può costruire e influenzare grazie a una cultura aziendale adeguata.
Solo vantaggi? No, ma non torniamo indietro!
È molto probabile che lo smart working sia la modalità di lavoro del futuro, più spontanea che nel presente a cui siamo costretti. I vantaggi per i lavoratori sono innegabili: riduzione dei tempi di trasferimento e dei costi di trasporto, aumento della motivazione, miglioramento nel rapporto lavoro/vita privata.
Per le aziende abbiamo già citato l’incremento di produttività, ma non va sottovalutata anche la riduzione dei costi per gli uffici. Con meno dipendenti presenti contemporaneamente in ufficio è probabile che ci sia anche una minore necessità di spazio. E l’ambiente? Anche lì solo cose positive: meno traffico, meno CO2 (meno 135Kg di emissioni per persona in un anno!), migliore sviluppo della micro-mobilità e diverso utilizzo dei mezzi pubblici.
Sembra che ci siano soltanto vantaggi e ovviamente non è così. Il rapporto personale e umano con i colleghi viene meno, portando anche a sensazioni di isolamento. Nessun tool di lavoro collaborativo potrà mai sostituire l’efficienza del caffè con i colleghi alla macchinetta per costruire quello spirito di cameratismo indispensabile per il team building. Per non parlare dei nuovi assunti o dei colleghi alla prima esperienza che hanno necessità di tempo e rituali ben codificati per sentirsi parte del gruppo.
Un mondo fatto di solo smart working non mi piacerebbe affatto. Il lavoro agile lo è davvero quando si può scegliere liberamente come disporre del proprio tempo, non quando siamo obbligati come in questo momento.
Il lavoro è davvero "smart" solo quando possiamo scegliere liberamente come disporre del nostro tempo. Condividi il TweetQuello che il Covid-19 sta combinando è devastante per la salute, per le vite delle persone, per la sanità, per l’economia. E per le basi stesse dei comportamenti sociali di noi umani, esseri fatti per muoverci, viaggiare ed esplorare, per interagire tra simili, per comunicare e toccarci.
La provocazione del titolo è proprio questa: il paradosso è che da una situazione negativa si possa trarre qualcosa di positivo. Chiaramente non è il virus il vero innovatore, ma in questo periodo storico stiamo avendo le prove che almeno sull’innovazione e su nuovi paradigmi organizzativi nel mondo del lavoro un’altra via è davvero possibile. E sarebbe da stupidi tornare indietro senza approfittarne.
Photo by: